Al termine di un’esperienza così intensa come il Festival dei Popoli 2024, desidero farmi portavoce di quanti – enti, associazioni, comunità etniche e privati cittadini – hanno collaborato fattivamente all’organizzazione di questo evento, non tanto per tracciare un bilancio, per il quale ritengo sia necessario un tempo di “decantazione”, quanto per condividere alcuni pensieri e sensazioni suscitati dalla rassegna.
Il Festival è stato, prima di tutto, il risultato del lavoro corale di realtà diverse tra loro per storia, appartenenza e cultura tutte unite, però, dallo stesso desiderio di progettare, insieme, un percorso che, coniugando riflessione e festa, fosse in grado di offrire al nostro territorio uno spazio di incontro, confronto e dialogo per affrontare in modo oggettivo e pacato alcune delle tante sfaccettature del fenomeno migratorio. Questo lavoro di rete ha rappresentato per ognuno di noi un’autentica occasione di crescita umana. Accogliendo e valorizzando le proprie specificità e quelle degli altri, le differenze sono diventate una risorsa per il gruppo, si sono intrecciati nuovi legami di amicizia e consolidati altri già esistenti.
Il Festival ha inoltre rappresentato per tutti noi una sfida dall’esito incerto: mantenere viva, per quindici giorni, l’attenzione di pubblico, stampa e istituzioni su un tema spesso controverso. Rimandando alle prossime settimane un’analisi più attenta sui vari aspetti della rassegna, al momento posso affermare che, tra gli organizzatori, si percepisce una grande soddisfazione e la consapevolezza di aver creato un’importante opportunità di dialogo interculturale avvicinando le persone alla conoscenza di temi di pregnante attualità come le politiche di accoglienza e d’asilo, le disuguaglianze globali, l’impatto della crisi climatica sulle migrazioni forzate, lo sfruttamento dei lavoratori immigrati e le sfide dell’integrazione. Il ricco programma di incontri, dibattiti e tavole rotonde ha visto passare nella nostra città esperti e studiosi del fenomeno migratorio di alto livello i cui interventi hanno promosso la comprensione delle esperienze vissute e dei sogni di chi cerca una nuova vita lontano dalla propria terra.
Il Festival non è stato solo un luogo di discussione teorica, ma anche di eventi che, attraverso il cibo e la musica, hanno celebrato le diverse culture presenti sul territorio facendole incontrare e dando loro visibilità. Abbiamo ballato insieme su arie di paesi diversi, condiviso sapori e ricette di tutti i continenti in spirito di fratellanza, segno che una società più giusta e inclusiva, all’insegna della convivialità delle differenze, non è solo un sogno, ma un obiettivo raggiungibile. Da questo punto di vista Il Corteo dei Popoli si è confermato come momento di maggiore impatto simbolico per la nostra città, una fotografia a colori della multiculturalità che caratterizza la provincia astigiana, un’immagine potente e più eloquente di tante parole per dichiarare l’infondatezza di tante paure e pregiudizi che ancora avvelenano la nostra società.
“Accogliere sogni, seminare giustizia” è stato più di uno slogan: è stata la missione che ha animato tutte le giornate del Festival, trasformando Asti in uno spazio dove l’umanità, nelle sue molteplici forme, è stata protagonista. Per noi, la conclusione della rassegna non rappresenta un punto di arrivo, ma di partenza per dare continuità a un percorso fatto di idee, ma soprattutto di storie e di persone. Un cammino da sognare insieme, nella consapevolezza che questo sogno, almeno in parte, è già realtà.
Per gli organizzatori del Festival
Paolo Maccario