Pellegrinaggio Giubilare di Asti

La Diocesi di Asti ha realizzato il proprio pellegrinaggio giubilare nei giorni dal 2 al 4 aprile. Dalla terra in cui affondano le radici famigliari di papa Francesco (che visitò, in un “incontro tanto atteso”, il 19 e 20 novembre 2022, con un grande abbraccio di popolo), si sono mossi 130 pellegrini (tra cui sette presbiteri, due suore e un diacono), a cui si è aggiunto il Vescovo, Mons. Marco Prastaro, dopo la conclusione della Seconda Assemblea Sinodale delle Chiese in Italia.

Lo stato d’animo dei pellegrini all’inizio del viaggio era di trepidazione, curiosità e attesa per i risultati auspicati dal pellegrinaggio, certo spirituali ma anche umani, secondo le espressioni di papa Francesco: “Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni”. (Spes non confundit).

A Roma, il primo momento forte è stato nella Basilica di San Paolo fuori le mura, con la visita alla tomba dell’Apostolo delle Genti e la celebrazione eucaristica, in cui il Vangelo del giorno è risuonato nei nostri cuori come potente invito alla fede, garanzia di vittoria sulla morte: “In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno” (Gv 5, 24-25). Il celebrante, don Maurizio Giaretti, che durante tutto il pellegrinaggio ha svolto la funzione di guida, non solo spirituale, ai luoghi dove si celebra il Giubileo, ha collegato il Vangelo di Giovanni con quello che possiamo ritenere il testamento spirituale di San Paolo: “Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione” (2 Timoteo, 4,6-8). È stato un primo potente richiamo alla fiducia che viene dalla speranza alimentata dalla fede. Anche per noi l’obiettivo è condurre la buona battaglia nelle vicissitudini della nostra vita, e conservare la fede al termine dell’esistenza terrena: la fede è sì dono gratuito, ma va difeso e proposto a tutti i fratelli che incontriamo sulla nostra strada, come fece San Paolo.

Il momento emotivamente più coinvolgente è stato il pellegrinaggio alla Porta Santa di San Pietro, giovedì 3 aprile. Di buon mattino ci siamo avviati con la croce giubilare lungo via della Conciliazione, per raggiungere la Tomba dell’Apostolo Pietro, su cui recitare la nostra Professione di fede dopo aver pregato per le intenzioni del Santo Padre. Inseriti nel lungo cordone di gruppi in processione da tutto il mondo, ci siamo sentiti davvero Popolo di Dio in cammino. La nostra porzione è quella della gente laboriosa di una piccola Diocesi nel Nord Ovest d’Italia, l’area geografica in cui quella che viene definita la “fine della cristianità” ha risvolti importanti nelle relazioni tra le persone, generando non poca tristezza tra chi, ridotta minoranza, ancora frequenta assiduamente la vita delle comunità cristiane. È stato questo, del resto, uno dei temi alla base dell’ascolto sinodale svolto in Diocesi che, nella fase profetica, è stato collegato al Giubileo: il Sinodo è un cammino, una strada insieme, percorsa a varie velocità, attendendo tutti, proprio tutti, chi ha certezze, chi è alla ricerca. Si arriva ad una meta, ad un obiettivo, che è il tenere viva la propria fede e il risvegliarla nei compagni di viaggio, attraverso la formazione e la corresponsabilità nella missione. “Il Giubileo fa parte del grande e secolare tema del pellegrinaggio: si parte, da punti diversi dell’ecumene, da soli, insieme, si prega, ci si prepara, ci si forma, si raggiungono le grandi basiliche della cristianità, si sta insieme con gente da ogni parte, tutti uniti dalla comune fede in Cristo, si è pellegrini, come in questi anni di lavori sinodali lo siamo stati, pellegrini nel dialogo e nell’ascolto… Altro aspetto: si è pellegrini insieme con il clero, i consacrati, i laici, si parte insieme, non è questa un’istanza sinodale? È la storia dell’uomo, che si muove alla ricerca, per migliorarsi, che si sposta anche con il rischio di non tornare, come avveniva nei secoli passati… Una migrazione spirituale, alla ricerca di certezze, insieme, un cammino con altri… e torniamo al significato di Sinodo. La nostra Chiesa italiana può veramente rafforzarsi alla luce dell’unione spirituale Sinodo-Giubileo, in particolare il nostro Nord-Ovest: così problematico, a tratti scettico, profondo e spesso schivo, esso acquisirà forza morale e carattere per scelte e propositi di fede ad ampio respiro. Siamo tutti pellegrini, di speranza, in ricerca, nel dialogo, nell’ascolto, nell’aiuto reciproco a rialzarci e riprendere il Cammino (M. Poggio, referente sinodale).

Al pomeriggio, nella Basilica di Sant’Andrea della Valle, Mons. Prastaro ha presieduto prima la celebrazione penitenziale, nella quale ha invitato ad avere fiducia nella misericordia di Dio, che ci viene dispensata anche quando siamo noi stessi a non credere più nelle nostre possibilità, e poi la celebrazione eucaristica. Qui il Vescovo ha messo in guardia dalla tentazione di costruirci una immagine di Dio in linea con le nostre preferenze, come descritto nella prima lettura del giorno (Es. 32, 7-8), che ci ammonisce a non cedere alla tentazione di cercare il vitello d’oro, la divinità visibile e palpabile fatta su misura per noi. Il fondamento della nostra fede è la testimonianza dell’Antico e del Nuovo Testamento. Ma noi, come interpretiamo il Vangelo? Crediamo veramente alla testimonianza di Dio Padre in Gesù di Nazaret? Il premio alla nostra fede è la certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati» (Rm 8,35; 37).

Il pellegrinaggio, infine, si è concluso venerdì 4 aprile a Collevalenza, al Santuario dell’Amore Misericordioso, dove il Rettore ha narrato ai pellegrini l’esperienza e l’insegnamento di Madre Speranza, che riuscì a valorizzare il suo cammino verso Dio come segno di speranza eterna, un richiamo a vivere l’Amore Misericordioso con tutto il cuore, e incarnare la missione di portare nel mondo il progetto d’amore di Dio per l’umanità. Mons. Prastaro nell’omelia dell’ultima celebrazione durante il pellegrinaggio ha fatto riferimento alla prima lettura (Sap 2,1.12-22) per sottolineare che le strade del Signore sono del tutto diverse da quelle degli uomini, e che proprio per questo motivo possiamo aspettarci misericordia, quando saremo giudicati nel momento che ricapitola la nostra esistenza. Il giudizio di Dio, che è amore, non potrà che basarsi sull’amore, in special modo su quanto lo avremo o meno praticato nei riguardi dei più bisognosi.

Gianpiero Poncino