“Asti mi ha accolto con un bagno di folla inaspettato e in questi quasi 100 giorni dalla mia ordinazione del 21 ottobre scorso, sto cercando di conoscere il più possibile questa realtà per diventare un po’ astigiano anch’io”. Sono le parole di monsignor Marco Prastaro, che il 24 gennaio, in occasione di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, ha incontrato la stampa locale. Un momento che gli ha dato l’opportunità di tracciare un bilancio dei suoi quasi 100 giorni alla guida della Chiesa astigiana.
Sono stati giorni, settimane e mesi di conoscenza, appunto “E’ stato un periodo intenso fatto di incontri pubblici e privati. Ho ricevuto molte cariche istituzionali e autorità, ma mi sono incontrato anche con enti, associazioni, gruppi e realtà della nostra chiesa. Ho conosciuto i sacerdoti, mi sono recato in tutte le zone pastorali, celebrando messe, visitando molte parrocchie e partecipando a incontri. Ho celebrato anche tre cresime, a Viatosto, Refrancore e l’ultima qualche giorno fa a San Domenico Savio per gli adulti. E’ stato un periodo che ho voluto dedicare alla conoscenza di una realtà che mi era estranea”.
Settimane che sono servite a mons Prastaro anche per capire quali siano le criticità della Chiesa astigiana.
“Il problema più evidente che ho riscontrato è l’età del clero, ma anche quella della popolazione che frequenta la chiesa, piuttosto avanti negli anni.
Le teste che scorgo nei banchi sono bianche e i giovani sono pochi. La Chiesa in questo senso è lo specchio della società. Nella nostra Diocesi anche i numeri raccontano questa criticità. I preti diocesani sono 71 e 36 di loro hanno già compiuto 70 anni, di contro c’è un solo giovane seminarista che oggi frequenta il primo anno di teologia e quindi potrà diventare prete fra sei anni”, ha spiegato il vescovo.
Le parrocchie nella nostra Diocesi sono 129 e il sacerdote più anziano, don Luigi Boero, parroco di Soglio, ha 91 anni. Esiste quindi un oggettivo problema legato al futuro, quando cioè i sacerdoti saranno meno e dovranno fare il lavoro che oggi portano a termine una settantina di preti.
“Bisognerà valutare, come è già stato fatto, l’unione di più parrocchie sotto la guida di un unico parroco. Un processo non facile e doloroso che chiede tempo e valutazioni legate anche al territorio e alle comunità interessate”.
In secondo luogo, secondo mons Prastaro, bisogna lavorare anche per ripensare al significato di Chiesa, cosa vuole dire davvero parlare di Chiesa oggi, che volto assumeranno le nostre comunità, che tipo di ministero i nostri sacerdoti dovranno svolgere, quale dovrà essere il ruolo dei laici.
“Oggi infatti quando si parla di Chiesa di pensa immediatamente a due aspetti diametralmente opposti. Subito la mente corre a Papa Francesco, un uomo di grande apertura, ma si collega spesso la chiesa alla questione dei preti pedofili – ha spiegato -. C’è un mondo in mezzo a questi due estremi, ciò che è la vera Chiesa. Quella fatta da chi con la propria scelta di fede e di vita diventa esempio, che traduce nel concreto della sua esistenza, delle sue relazioni e del suo lavoro i messaggi del Santo Padre. Non si parla mai, e dovremmo raccontare di più, dei preti e dei credenti che vivono la propria fede con coraggio, in realtà difficili, non solo nel Terzo Mondo, ma anche vicino a noi”.
Il vescovo Prastaro non ha nascosto che anche la nostra Diocesi vive un calo delle vocazioni. “Il fenomeno è legato alla cultura del nostro tempo e riflette ancora una volta quello che è la società. Il dato oggettivo è che i giovani faticano sempre di più a fare scelte definitive. Questo si rispecchia anche nel calo dei matrimoni a dispetto delle convivenze; il procrastinare scelte sul “lungo termine” incide quindi anche sulla crisi vocazionale”.
Rispondendo alle domande dei giornalisti in sala il vescovo non si è sottratto a uno dei temi più caldi, quello dell’immigrazione e il decreto sicurezza.
“Credo che sia importante riflettere sul linguaggio usato quando si parla di immigrazione e in questo senso i giornali possono fare molto – ha spiegato il vescovo facendo anche riferimento al XXVII Rapporto Immigrazione di Caritas e Mingrantes dall’emblematico titolo “Un nuovo linguaggio per le migrazioni”
“La questione del linguaggio risulta fondamentale nel trattare questo tema. Sui giornali e nei tg sentiamo parlare di invasione, ad esempio, ma i numeri forniti spesso direttamente dal Ministero, smentiscono questo. Si parla di invasione islamica e invece la maggior parte dei migranti sono principalmente cristiani”.
Il vescovo ha poi parlato del sistema accoglienza. “Asti ha optato per un’accoglienza diffusa, con pochi migranti ospitati in piccole comunità per permettere un modello di integrazione migliore. Le comunità stesse si sono dimostrate accoglienti trovandosi di fronte a dei semplici esseri umani, che grazie ai progetti di accoglienza diffusa, come quelli realizzati dalla Caritas, hanno potuto svolgere lavori e integrarsi nelle comunità. Temo che il nuovo decreto firmato dal ministro Matteo Salvini possa sgretolare questi buoni modelli. Così si rimane sempre nella logica dello sfruttamento, dal colonialismo che ha depauperato (e continua a farlo) i Paesi d’origine costringendo le persone ad andare via per rincorrere una vita migliore, allo sfruttamento che i migranti subiscono per arrivare in Europa (nel percorso di migrazione e in Libia). Lo sfruttamento continua, spesso, anche in Italia; i più sfortunati finiscono nelle mani della criminalità organizzata, altri invece vengono sfruttati da chi si approfitta del sistema di accoglienza. Infine anche la politica chiude il cerchio dello sfruttamento. Strumentalizza i migranti per ottenere consensi e voti. Non si uscirà mai da questo circolo vizioso fino a che non si comincerà a considerare i migranti delle persone”.
Tornando ai 100 giorni alla guida della diocesi il vescovo ha osservato una realtà molto viva, con potenzialità umane e sociali molto diffuse che soffre la problematica del lavoro, ma che sta cercando di ritrovare un’identità precisa di crescita dopo il periodo di crisi che ha investito l’intero Paese.
Rispondendo ad altre domande mons Prastaro, ha raccontato di non essere sui social e di non usare Facebook o Twitter. “Non me ne vanto, certo, ma scrivere post e lanciare Twitter bisogna avere competenze in materia e metterci impegno. I social vanno al di là del mio temperamento”.
Una riflessione anche sulla comunicazione: “Credo che oggi la comunicazione abbia perso i tempi di riflessione – ha commentato -. Non credo che l’immediatezza nel dare certe notizie sia positiva. Almeno io preferisco andare piano, forse anche per la mia esperienza missionaria in Kenya, dove i tempi non sono certo quelli occidentali”.
A quasi 100 giorni dal suo ingresso come vescovo l’obiettivo di mons Prastaro rimane quello della conoscenze della nostra realtà nell’ascolto e nell’incontro.