Nonostante le luci colorate che creano un po’ di atmosfera, si preannuncia un Natale senza “poesia”. Lo shopping natalizio invece ha generato preoccupazione; le vie affollate del centro stridevano con le code sempre più lunghe alle nostre Caritas e soprattutto con l’ancora più lunga lista di vittime del Covid-19.
Non abbiamo più avuto i mercatini natalizi, così carini e comodi per fare qualche regalino ad amici “meno congiunti”. I bimbi non hanno potuto fare le recite natalizie che sempre ci inteneriscono. Sospesi anche i cori coi canti della tradizione e i presepi viventi. Perfino la Messa di mezzanotte non ci sarà più, sarà anticipata, perché tutti siano a casa per l’inizio del “coprifuoco”. La Messa con concerto che la precede e con, a seguire, gli auguri sul sagrato è rimandata al prossimo anno.
Ci mancherà la poesia di quella dolce sensazione, leggera e consolante, di sentire che il mondo è bello, che possiamo essere buoni, che la pace e la fraternità sono possibili, che volersi bene è una cosa semplice che richiede poco.
Questo virus microscopico ci ha rubato anche il pranzo di Natale, un appuntamento importante nella vita delle nostre famiglie. Dovremo rimanere in casa solo coi “congiunti coabitanti”.
Vi confesso che in questi giorni ho ripensato ai Natali vissuti nella savana. Faceva un gran caldo e non succedeva mai nulla. Nessuno faceva regali, nessuno era più buono, tutto procedeva desolatamente come prima. Gioia e dolore, vita e morte lottavano fra loro come ogni altro giorno. Non c’era neanche la messa della notte, perché non c’era energia elettrica e perché la notte buia è pericolosa. Quando poi arrivò la corrente elettrica, iniziammo a celebrare la Messa della notte (alle ore 20, neanche a farlo apposta). Ma era un tormento, la luce nella notte richiamava nugoli immensi di insetti che ti si infilavano dappertutto: nel naso, in gola, nelle orecchie, nel collo della maglietta. E la celebrazione diventava una lotta con questo fastidio, desideravi solo che finisse in fretta. Unica poesia era il vecchio catechista che quando gli chiedevo: “Com’è questo Natale?”, rispondeva felice: “Gioia piena!”
Eppure, anche in questo bisesto anno 2020, nel silenzio della notte, prolungata dalla pandemia, la fede continua ad annunciare che Dio nasce in mezzo a noi, che viene a farci visita e a condividere la nostra vita. Si tratta di quel Dio che ci ama così tanto che, nonostante le nostre resistenze, non può fare a meno di stare con noi. Vuole stare con noi, in tutti gli aspetti della nostra vita, in qualsiasi situazione ci troviamo. Lui non ha paura di come siamo e di come viviamo. Lui vuole solo stare con noi, nella nostra vita, quella vera, non in quella sdolcinata e irreale della poesia. E questo è la sua gioia. Il resto per lui non conta, o meglio, il resto non lo spaventa e non lo ferma. Lui ci ama, ci vuole salvare, vuole cioè rendere la nostra vita al massimo delle sue possibilità.
Per fare ciò percorre l’unica via possibile: diviene uno di noi, si fa bambino piccolo e fragile, e vive la nostra stessa vita, vive con noi nel mezzo della pandemia del Covid 19. Ecco la “poesia del Natale”, quella vera che nessuno e nulla potrà mai toglierci!
Anche quest’anno, seppur spogliato della poesia di un tempo, potremo vivere un Natale vero se sapremo gioire dell’amore di Dio e della sua vicinanza, se ricercheremo nel nostro cuore ciò che realmente conta ed è davvero indispensabile, se sapremo farci anche noi vicini a chi è nella difficoltà e nel bisogno.
Vi benedico e vi auguro un Natale di “gioia piena”.
+ Marco